Sotto il rasoio a pił d'uno di noi si riempirono gli occhi. Federici e don Davide furono del numero. Non si aveva paura, nessuno pensava alla paura, ma l'emozione, pił forte di tutti, rompeva la diga.
Mentre mi si radeva, con la guardia carceraria seduta in faccia, mi venivano le lagrime in bocca come a un bimbo sculacciato!
- Coraggio! diceva a ciascuno di noi il barbiere. I baffi e la barba ricresceranno pił vigorosi di prima.
- E voi, don Davide, gli domandai qualche giorno dopo, perchč avete pianto, se non avete mai avuto baffi e se vi facevate radere il labbro superiore anche prima?
- Perchč mi si infliggeva una punizione infamante. Perchč mi si riduceva il 2557.
Dall'emozione profonda passammo all'ilaritą clamorosa. A mano a mano che uno di noi rientrava nel camerone con la faccia galeottizzata, si scoppiava in una risata sonora. Sembravamo dei mostri. Salve le proporzioni individuali e la voce, potevamo benissimo scambiarci per dei galeotti sconosciuti.
Il solo che non avesse alterato la figura era il sacerdote. Gli altri pareva che fossero stati in un'altra stanza a truccarsi o a cambiarsi la testa.
Gustavo Chiesi, grasso e grosso, aveva del frate Melitone. Il buon Suzzani - che si chiamava, con compiacenza, "compagno di Carlo Marx" - aveva assunta l'aria d'un abatino pieno di modestia. Costantino Lazzari era uscito dalle mani del parrucchiere una edizione peggiorata. L'avvocato Federici si era trasformato in un santocchione che sginocchia pelle chiese. Ghiglione era ritornato in mezzo a noi come un uccello di rapina.
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