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      Quando sono nel penitenziario ho diritto, coi miei denari, a una spesa di cose mangerecce di venticinque centesimi. Perchè il viaggio mi fa perdere questo diritto?
      E il condannato concluse dicendo che le giornate di traduzione sono, per il ventre del recluso, le più desolanti. Lo si dimentica.
      A Genova ci si fece discendere dopo che il treno si era vuotato. Ci dovevano essere, col nostro, altri vagoni cellulari, perchè la "catena" si era ingrossata. Potevamo essere una cinquantina, compresa una reclusa. La donna, che aveva le mani slegate, non era trattenuta dal giro della catena comune. Ci seguiva. Era una donna brutta, bassotta, con tanti capelli neri e con le labbra sottili della sanguinaria. La maggioranza era in borghese, in viaggio per la casa di espiazione. I reclusi, col loro abito carnevalesco, colorivano la scena, e i galeotti, col tintinnìo della catena che penzolava loro dal fianco, la intetravano. Tutti assieme, circondati da un nugolo di carabinieri, facevamo paura. Sembravamo il rifiuto delle classi sociali. Una banda di ladri e di assassini stati colti con le mani nel sangue delle vittime. C'erano grinte che facevano rabbrividire anche me che vi avevo fatto l'occhio.
      Fuori della stazione ci aspettava una folla enorme. Passammo tra i commenti degli spettatori e filammo, in linea, per tre o quattrocento passi, fin dove ci aspettavano i veicoli.
      Le vetture erano meno crudeli delle carrozze cellulari. Erano omnibus lunghi, a giardiniera, col tendone che giungeva a filo dell'orlo del veicolo.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





Genova