La Kuliscioff č stata la prima nichilista che ho conosciuto. Le venni presentato da Benoit Malon, a Lugano, quando il comunardo scriveva, se mi ricordo bene, la Revue Socialiste, l'organo massimo, in allora, delle alte intelligenze dell'emigrazione rivoluzionaria.
La Kuliscioff poteva essere intorno ai venti anni. Mi parve una vergine slava. Con una testa da madonna, con la carnagione bianca imporporata di salute, con le trecce lunghe, di un biondo luminoso, per le spalle, mi faceva pensare alle donne graziose dei preraffaelliti che in quei giorni ammiravo come uno narcotizzato dai loro colori.
Malon parlava, e io mi perdevo negli occhi della nichilista, inondati di quella malinconia che va al cuore come una nota soave, al punto da farmi riprendere da una voce grave - una voce che mi insegnava che un socialista non deve contemplare una signorina viva come si farebbe con una figura sulla tela di un pittore illustre.
Seppi dopo molte cose di lei. Della sua agitazione, dei suoi studi, della sua prigionia, del suo sfratto dall'Italia, dei suoi amori, della Rivista Internazionale del Socialismo ch'essa pubblicava con Costa, della nascita della sua Andreina, delle sue tribolazioni, della sua laurea di dottora, della sua unione con Turati, della sua malattia crudele, ma non la vidi pių che nel '95, cooperatrice e collaboratrice della Critica Sociale.
Nel '78 il mio pensiero si genufletteva alla bellezza. Oggi, esso, si inchina alla pensatrice.
Migliaia di donne, in mezzo agli uragani della sua esistenza fortunosa, sarebbero naufragate cento volte.
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