Federici era considerato il fortunato dei fortunati. Lui aveva già scontato quattro mesi dei dodici che gli avevano appioppati e lo avrebbero lasciato a Milano, senza dubbio, a far compagnia al Maffi, il quale era entrato a fare il sesto nel cellone da pochi giorni. Forse non lo si sarebbe neppure galeottizzato.
- Te fortunato! gli dicevano.
Di giorno in giorno, ne passarono dodici. Dodici giorni di ansie crudeli. Facevano il pacco alla sera, dopo essersi salutati con un abbraccio fraterno, e lo sfacevano alla mattina, ricominciando il lavoro di suggestionarsi l'un l'altro.
L'ultima sera, disperati di non partire mai e determinati a non pensare più alla partenza, si proposero di mangiare tutti assieme il pollo alla cacciatora.
- Allora, disse Romussi, vedrete che ci manderanno via. Il pollo alla cacciatora è sempre stato l'ordine di partenza. In Castello abbiamo ordinato il pollo alla cacciatora e ci hanno fatto partire prima di mangiarlo. Lo abbiamo comandato a Finalborgo e ci hanno rinviati a Milano.
Alle due e mezzo della notte del 4 settembre il capoguardia andò nelle celle dei condannati politici a dir loro di alzarsi in fretta che si doveva partire.
Alle tre si trovavano nell'ottagono Romussi, De Andreis, Federici e Valera.
La cella di Turati era illuminata.
Vennero ammanettati e cellularizzati nell'omnibus che li aspettava.
Alla stazione centrale si fecero prima uscire De Andreis e Romussi.
Quando discesero dal predellino della vettura Valera e Federici, gli altri due erano scomparsi.
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