Accendo il mio virginia, tossisco, metto fuori dalla finestra la scopetta e aspetto la fune dalla finestra del terzo piano perpendicolare alla mia. Tutto ciò avviene in un modo rapidissimo. Alla estremità della "colomba" è un peso o un sasso nel sacchetto o nel mucchietto di cenci. Lo tiro a me con la scopetta, vi lego il sacchetto con la lisca che fumacchia internamente adagio adagio, sale, si ferma alla seconda finestra ove è atteso, riprende la via e scompare nella cella di colui che mi ha lasciato giù la fune.
Costui se ne serve e poi getta il sacchetto attaccato alla fune sulla scopetta della cella a fianco.
È questo il movimento più difficile della "colomba". Ma la mano abituata vi riesce al primo colpo.
Il compagno che l'ha presa ne stacca il sacchetto dalla funicella che viene ritirata, lo appende alla sua "colomba", se ne serve e lo lascia cadere dalla prima alla seconda finestra, ove sosta come accenditoio e riprende la discesa per fermarsi alla terza finestra dove avviene la stessa operazione di staccarlo da una "colomba" per attaccarlo a un'altra e gettarlo sullo scopino della finestra a fianco.
Mi sono servito dell'esempio più difficile. Gli esempi facili sono con le finestre sopra o sotto o a fianco della mia. Se non ci sono le piantelle (guardie) nel cortile che adocchiano, io sono sicuro, con la "colomba", di soccorrere e di poter essere soccorso.
Il linguaggio dei detenuti è di una semplicità alfabetica. Lo si impara in mezzo minuto. Ma non si può servirsene che dopo avere esercitato i pugni sulla parete per dei mesi.
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