Si dava loro quello che desideravano da mangiare e da bere, e venivano, più volte nel giorno, consolati dalla parola affettuosa del sacerdote. Sono però rari i delinquenti che si abbandonano all'orgia del ventre in cappella. Alfonso assaggiava appena ciò che gli portavano e Carmine non beveva che della limonata. L'aurora dell'8 giugno 1875 fu triste. Sentivamo i passi affrettati che andavano e venivano e i rintocchi che diffondevano il terrore per la carcere. Tutti quelli della mia camera andarono con me in ginocchio. Pregammo con fervore fino a giustizia finita. Tutti e due sono andati all'altro mondo pentiti del loro misfatto.
Nella carcere di Benevento mi trovai con un altro condannato di ventidue anni, che aveva mozzato il capo alla ragazza che non voleva più sposarlo. Si chiamava Muscischio. Respinta la rinnovazione del processo, venne isolato in una stanza, al cui uscio era stata messa una guardia che non doveva fare altro che tenerlo d'occhio dalla spia. Rimase dieci giorni tra la vita e la morte. Venne graziato il venticinque aprile 1876. Ritornato in mezzo a noi, ci raccontò lo spasimo che aveva subito in quelle notti e in quei giorni. Ci diceva che il pensiero di morire non gli dava mai requie, e che, anche quando la prostrazione gli chiudeva gli occhi, il suo sonno veniva conturbato dal carnefice, del quale gli pareva sempre di sentire la voce. Durante il giorno non mangiava cinquecento grammi di pane. Lo rivedemmo spaventevolmente denutrito. Egli era contento della grazia, ma diceva che in dieci giorni aveva sofferto assai più che se lo avessero impiccato dieci volte.
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Carmine Benevento Muscischio
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