Fu una gioia di pochi mesi. Il subbio, sul quale calcavo il ventre, finì per darmi una infiammazione intestinale. Dovetti andare in infermeria e poi ricominciare un altro mestiere.
Divenni legatore di libri - come si può diventarlo in un luogo dove si manca di tutto. Come tale mi si mandò nel bagno di San Giuliano. Ritentai il telaio e ricaddi più ammalato di prima. Qualche mese dopo mi si trasportò al bagno di Portolongone. Potete immaginarvi che cosa abbiamo sofferto nella traversata. Avrei preferito la mulilazione del braccio destro. Eravamo una catena di cento galeotti. Al nostro sbarco assisteva una folla enorme. Dal porto al bagno, ci sono tre chilometri tutti di salita, coi margini dello stradone che smottavano sotto i piedi e facevano pensare ai precipizi. Prima di arrivare all'ergastolo si passa sotto un arco rozzo.
L'entrata di questo bagno è tetra. Sente del luogo. Le camere sono assai più piccole di quelle del Castellaccio e in ciascuna di esse sono accomodati otto ergastolani.
Quando vi giunsi era affollatissimo. C'erano mille e cinquecento condannati. Trovai che l'impressione dell'entrata rispondeva esattamente alla vita interna. Le camere erano senza tavolaccio e senza letti da campo. Bisognava dormire sullo strapuntino di cinque chilogrammi di capecchio - in terra, con un cuscino che pareva per la testa di una pupattola. Le stanze erano male arieggiate. Avevano una parvenza di finestra nella vôlta e una porta sempre chiusa.
Gli ultimi che arrivano subiscono un ozio di mesi e di mesi.
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