L'esperienza li avrebbe fatti andare sulle pedate degli altri. Il loro partito era nuovo e nuovi dovevano essere gli scrittori. Non si trattava di scrivere in ghingheri. Si trattava semplicemente di dire chiaro e tondo che cosa volevano, dove tendevano, a che cosa aspiravano. Non altro. E il Fascio Operaio - voce dei figli del lavoro - il 29 luglio 1883 era già nelle mani del pubblico. Lo scopo della pubblicazione era condensato in queste parole di Malon stampate a destra, in corpo otto, sotto il titolo del giornale: "Se non pensano a far da loro gli operai italiani non saranno mai emancipati."
Nel primo articolo intitolato "chi siamo e che cosa vogliamo", dicevano apertamente che erano "operai nel più stretto senso della parola, cioè, operai manovali".
Siamo i figli di quella immensa moltitudine a cui la vita non è concessa che a patto di una perenne produzione - di quella classe che lavora e soffre, senza adeguati compensi - che vede il frutto delle proprie fatiche aumentare le ricchezze dei capitalisti.
L'attività dei redattori del Fascio Operaio era infaticabile. Restando al lavoro, tenevano conferenze ogni sera, organizzavano la lega di resistenza ogni volta si trovavano coi compagni, e scrivevano articoli ogni settimana. In due mesi la "voce dei figli del lavoro" seppe preparare e inaugurare un Congresso operaio a cui il Fascio mandava il suo saluto "perchè i congressisti erano puramente dei lavoratori che si ispiravano alla loro coscienza di lavoratori". "Siate uomini nuovi, diceva loro.
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