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      Io poi, che non ho tanti denari da spendere, non dovrei tormentarmi con queste seccature di gola. Tanto più che mi rincresce di stare a tavola cogli amici, che non sono capaci di mangiare in santa pace il loro pranzo, senza costringermi, con la massima gentilezza, ad assaggiare un po' di questa o di quella pietanza. Adesso siamo pari. La nostra mensa è diventata la mensa degli uguali.
      Che cani! Ci hanno portato via penne, calamai e lapis. Sono venuti a prendere i libri per registrarli. Ho domandato il permesso di scrivere una lettera per comunicare agli amici l'avvenimento, ma mi si è detto che il regolamento non mi autorizza a scriverne che una al mese. Chiesi, che è alla reclusione, non può scriverne che una ogni tre. A proposito, egli è alla reclusione, e rimane con noi. Dunque non c'è differenza che nelle spese e nelle lettere. Lui può spendere venticinque centesimi e noi, alla detenzione, trentacinque.
      Non riuscirete mai, signori aguzzini, a farmi capire l'utilità sociale di impedirci di scrivere per tenerci qui a guardarci l'un l'altro. Seguitiamo a chiacchierare sulla dieta. Nessuno ha paura. Se non sono morti quelli con la catena che la subiscono da anni senza migliorarla col sopravitto, vuol dire che non si muore.
      Le latrine sono indecenze primitive. Mi sono messo con la faccia alla ferriata della prima finestra e sono stato lì per recere. Sotto, nel cortile, è un mastellone nascosto da un murello a curva, che lascia venir su una puzza velenosa. È il mastellone dei condannati addetti ai lavori domestici.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316