Il maresciallo ci salutò con un gesto della mano.
Al reclusorio trovai il capo guardia in collera.
- Lei si lascia intervistare!
- Da chi?
- Lei si lascia intervistare dai giornalisti per dir male del Reclusorio.
Mi vennero in mente parecchi giornalisti che erano venuti a trovarmi nel camerotto indecente della Corte d'Appello di via Clerici. Chi sa che cosa mi avranno fatto dire!
- Lei si lamenta!
- Certamente che io sto meglio fuori.
- Non doveva entrare se non le piaceva!
- Non ci sono venuto spontaneamente.
- E va bene, loro hanno sempre ragione!
- Mi faccia leggere questa intervista e le dirò se quello che ho detto è esatto.
- Gliela farà leggere il direttore!
I lavoratori della quinta camerata.
Erano dei mesi che intisichivamo dietro la speranza che un giorno o l'altro ci avrebbero restituiti il calamaio e la penna. Senza la distrazione di vuotarci la testa coll'inchiostro, non sapevamo che infelicitarci con discussioni pessimistiche o nere fino in fondo. Non vedevamo che delusione e dolore. Anche quando traluceva qualche lampo, si finiva per intetrarci o immusonirci assai più che seduti sotto le finestre di faccia a Capra Zoppa, senza una parola.
Non ci si proibiva di leggere. Ma si legge male in una camerata e in una camerata ove gli individui sono padroni di fare quello che vogliono. Tu leggi, e gli altri chiacchierano. Tu leggi, e due amici ti passano innanzi e indietro sussurrandoti il coro:
A casa, a casa, amici,
Ove v'aspettano,
Le vostre spose.
Tu leggi, e un compagno zufola e rizufola per il lungo e per il largo, per delle ore, l'Inno dei lavoratori e subito dopo, un altro, te ne canticchia la prima quartina, ricominciandola con sempre crescente piacere:
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