Chiesi e Federici avevano un tavolo nello spazio in fondo, a fianco della finestra. Il primo scriveva dalla mattina alla sera, senza mai smettere che all'ora dei pasti o quando aveva bisogno di stiracchiarsi le braccia, appendendosi al bastone pių alto dell'inferriata. Senza i libri necessari per un'opera descrittiva, o storica, o politica, egli si era votato interamente al romanzo - un lavoro, da quello che vedevo, che non gli costava che la fatica manuale. Non č mai a secco nč di idee nč di scene. Dotato di un apparecchio digestivo che non gli annoia il cervello, e arciricco di vocaboli, egli poteva prendere la penna ad ogni minuto, digiuno o col boccone in bocca, quando pioveva a diluvio e quando il sole si riversava nella nostra camerata come un'allegria. Alla mattina riprendeva il filo del racconto senza neppure degnarsi di leggere l'ultima frase e, dopo la colazione, il passeggio e il pranzo, ricominciava come se non vi fosse stata interruzione. Il Sue si popolava il tavolo, sul quale scriveva, di pupazzi per tenere a mente i personaggi che gli nascevano a mano a mano che entrava nella intimitā del romanzo. Gustavo Chiesi ha potuto completare Il Corpo di Ballo - un romanzo d'ambiente che racchiude tutta la popolazione del palcoscenico della Scala - senza sciupare pių di alcuni nomi scritti sul cartone dei fogli che produceva. Il suo modo di composizione č dei pių semplici. Incomincia la prima riga e tira via senza mai voltarsi indietro, cioč senza mai dare un'occhiata alle cartelle che la sua penna ha ammonticchiato.
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