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      Anche noi, il mattino, non appena in piedi, sentivamo un bisogno immenso di uscire da uno stanzone dal quale l'afa se ne andava assai lentamente. Per il 2557 un minuto diventava un secolo. Percorreva la camerata a passi lunghi, con le mani sul dorso, sotto la giacca, con la faccia torva.
      Lo si chiamava e si fingeva di credere ch'egli andasse a compiere i suoi uffici divini fuori del Reclusorio.
      - Don Davide, fate il piacere di comperarmi trenta centesimi di sigarette virginia.
      - Don Davide, se vedete il pollivendolo, mandateci a casa un'anitra, sgrassata, come quella della settimana scorsa.
      Don Davide, non dimenticate di passare dall'oste, che siamo senza vino.
      Don Davide, se trovate del pesce fresco, mandatene a casa una padellata.
      Rientrava ilare e pieno di scuse. Ci diceva che il pescivendolo era alla spiaggia, che il tabaccaio era andato alla dispensa e che il pollivendolo non veniva in paese che tre volte la settimana.
      Si metteva al lavoro senza indugio. Il suo tavolino era tra il finestrone e la sua branda. Si perdeva su suoi fogli di protocollo fino a colazione. Durante il lavoro taceva volentieri, ma non andava in collera se lo si interrompeva e se si faceva di tutto per fargli perdere del tempo.
      Chiesi: Don Davide, come state?
      Don Davide: Bene, grazie.
      Chiesi: Che cosa supponete che stiano dicendo, in questo momento, De Andreis e Romussi?
      Don Davide: È difficile indovinarlo.
      Chiesi: Ve lo dirò io che cosa stanno pensando. Stanno pensando a una chicchera di caffè buono, magari con una goccia di grappa buonissima.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





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