Non so s'egli abbia continuato e se continui. So che, se all'abilità del disegno egli potesse aggiungere la sollecitudine, potrebbe diventare un giornalista che illustra i suoi e gli articoli degli altri. Egli non è l'ultimo dei ritrattisti. Ha disegnato un don Davide seduto, vestito da galeotto, il quale resterà il suo capolavoro di Finalborgo. Ci ha dato una mezza figura di Chiesi mirabile e un Suzzani intiero, con la gamella in mano, che non dimenticherò facilmente. Ma io sciupo le parole come il padre di Cellini che voleva fare del figlio un suonatore di flauto e di cornetta. Cellini lo contentava di tanto in tanto, con qualche pifferata. Ma continuava per la sua strada a cesellare. Così sarà di Costantino. Egli diventerà tutto fuorchè un artista.
Le ore della sera erano le più tranquille. Si passava come dall'inferno al paradiso. Chiesi, Federici e don Davide - il primo in mezzo e gli altri due in faccia - avevano una lampada a petrolio in comune sui loro due tavoli riuniti. Noi quattro ci servivamo della lampaduccia a luce elettrica, la cui poverezza di luce ci faceva chinare sovente gli occhi, o ci lasciava per dei minuti sotto un rossore crudele. Migliorammo la nostra condizione quando a furia di guardarla ci accorgemmo che aveva del filo attorcigliato che ci poteva servire per allungarla fin quasi al tavolo.
Tutto sommato, erano ore deliziose. Il chiasso delle camerate vicine alla nostra cessava con la campana del silenzio. Salvo qualche gola che sprigionava versi da dannato o qualche voce che dava fuori nel sonno o qualche disgraziato che manifestava i suoi tormenti fisici con degli: oh Signor! femm morì, femm!, potevamo supporci in un sepolcro.
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