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      Vero è che nella ricca ex capitale lombarda mancava il disagio economico assunto altrove a pretesto per tumultuare ed insorgere; ma era però ovvio che altro potesse trovarsi, ed infatti fu doppiamente trovato nella disgraziata morte di un giovane figlio di notissimo deputato e nel richiamo delle classi sotto le armi.
      Ed appunto per questi pretesti nella mattina del 6 maggio incominciarono dimostrazioni e disordini che divennero poi tumulti e vere rivolte con devastazioni e saccheggi nei successivi giorni 7, 8 e 9, nei quali le turbe inferocite, dalle strade, dalle barricate, dalle finestre e dai tetti, trassero contro la truppa e gli agenti della forza pubblica colpi di fuoco, sassi, tegole e fumaiuoli.
      Finalmente, dopo quattro giorni di fiera lotta, la insurrezione fu vinta dalla energia delle Autorità superiori militari e dalla abnegazione e dal coraggio dell'esercito.
      A questi tumulti presero parte attiva Callegari Sante, Castelnuovo Umberto, Cerchiai Alessandro, Gabrielli Alfiero e Gruppiola Francesco; nel 6 maggio si trovarono al Ponte Seveso ed in via Napo Torrioni, e nel giorno 7 sul corso di Porta Venezia.
      Costoro sono anarchici e lo confessano; e tali sono pur anco gli altri imputati Baldini Domenico, Fraschini Giuseppe ed Invernizzi Pietro. Tutti facevano attivissima propaganda delle idee del partito; sono tristi apostoli del disordine e dell'odio sociale ed hanno pessimi precedenti politici.
      Taluni anche riportarono condanne, cioè il Baldini nel 1893 per eccitamento all'odio di classe e nel 1894 assegnato al domicilio coatto; il Fraschini ammonito nel 1889, condannato nel 1891 per eccitamento all'odio di classe e assegnato nel 1894 al domicilio coatto; il Gruppiola condannato nel 1897 per apologia di reato; l'Invernizzi condannato due volte per oltraggio e violenze alla forza pubblica ed altre due volte per reati di stampa.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





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