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      Certo egli ne ebbe conoscenza prima che fosse divulgato.
      Come già si è detto, nel 6 maggio, volendo raccomandare ai tumultuanti la calma e di attendere il momento opportuno, parlò in modo da incitare maggiormente, ed il maggiore cav. Montuori, colà comandato pel mantenimento dell'ordine, chiese al funzionario di pubblica sicurezza che era là in servizio di potere agire o di far ritirare i soldati, non volendo che questi assistessero a quelle esortazioni alla rivolta.
      Nel pomeriggio del successivo giorno 7, in prossimità delle barricate di P. Venezia, sentendo l'avv. Cavalla rimproverare alcuni giovinetti che si munivano di sassi, osservando loro che era da pazzi esporsi a morire in quel modo, il Turati si rivolse a lui aspramente dicendogli in tono da poter essere sentito dai rivoltosi: "I cadaveri servono a qualche cosa. Essi sono le pietre miliari delle conquiste avvenire del popolo"; e chiamato a sè il Rondani, se ne andò con lui, dicendo: "Qui nulla più vi è da fare, andiamo a Ponte Seveso."
      Si recò invece alla Stazione centrale, si abboccò col noto Mantovani, esso pure condannato in contumacia, e nel giorno successivo si ebbe il manifesto ai ferrovieri e poscia il tentato sciopero dei macchinisti e fuochisti che potè essere fortunatamente scongiurato.
      L'accusato De Andreis, fino dall'epoca in cui era studente, professò apertamente opinioni repubblicane, fondò giornali, fece attiva propaganda delle sue teorie, coll'istituzione di circoli, conferenze e discorsi pubblici, tendenti sempre allo scopo di cambiare violentemente alla prima occasione la costituzione politica dello Stato, parlando sempre con sarcasmo della persona del Re e della sua reale famiglia.


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Dal Cellulare al Finalborgo
di Paolo Valera
Tipografia degli Operai Milano
1899 pagine 316

   





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