Nella stessa sua qualità fu pure in Milano dove avvennero disordini nella sera del 6 e nel mattino del 7 e l'unico fatto che gli si addebitava era quello di essere l'autore di due cartelle trovate nell'ufficio del giornale, ma una sola fu riconosciuta di suo carattere, quella cioè che descriveva fatti avvenuti con tinte meno fosche, e non incriminabili. D'altronde lo scritto di quella cartella non fu stampato, nè pubblicato.
Lo Zavattari, sebbene appartenga al Comitato repubblicano, non aveva altro incarico che quello della contabilità.
Da circa tre anni cessò da ogni agitazione e propaganda; nei giorni in cui avvennero i disordini fu sempre al suo posto alla Stazione centrale, consigliando la calma, mentre una sua parola avrebbe potuto far insorgere i facchini da lui dipendenti sui quali aveva molto ascendente. A carico quindi dei tre sunnominati non si riscontra reato.
Prescindendo ora dall'esaminare quanto il Chiesi ha potuto fare quale direttore dell'Italia del Popolo, esso, al pari del Federici, è di fede repubblicana.
Si volle che nel mattina del 7 maggio fosse sul corso Garibaldi a conferire con varie persone, ma questa circostanza non risultò sufficientemente provata.
Che aspirazione sua e del Federici fosse quella di giungere, anche con un moto rivoluzionario, all'instaurazione di un governo repubblicano, è facile ammetterlo, ma le risultanze della pubblica discussione non hanno posto in essere a loro carico alcun elemento sicuro dal quale desumere che essi in unione con altri concertassero e stabilissero con determinati mezzi di commettere il reato di cui agli art.
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