La sola consolazione che trovate nei tumulti inglesi è che la vendetta sociale dopo il fatto compiuto non è così sentita come altrove. Qua e là vi sbuca sempre fuori l'inglese, non importa di quale classe, che si curva dinanzi il verdetto dei molti, che si dichiara incapace di violare le libertà costituzionali, che giustifica l'omicidio quando desso è stato provocato dagli agenti della sicurezza pubblica, che si sopprime dal consorzio piuttosto che dar l'ordine di far fuoco sulla folla, che riconosce che la pazienza popolare, dopo tutto, ha un limite, che raddolcisce la sentenza anche nelle giornate della zuffa classicida, che non vuole sguinzagliare i salariati in montura sui salariati nella giacca macchiata e sdrucita dalla fatica, se prima non ha veduto le teste delle autorità locali - quasi sempre colpevoli! - inaffiate di sangue o rotte.
Tutta la storia del movimento chartista - il quale va dal 1837 al 1848 - è pieno di questi documenti.
Ma prima di gettarci a nuoto nel lago chartista, per capirlo bene, noi dobbiamo indugiare nel periodo che io chiamerei della provocazione. Perchè fu la resistenza delle classi dirigenti che obbligò il popolo diseredato di ogni diritto politico ad arrabattarsi per degli anni e a darsi poi, nei momenti della disperazione pubblica, al piccone della demolizione, alle fiaccole che incendiano i palazzi ducali, al saccheggio che sazia lo stomaco ulcerato dai digiuni e a cacciarsi in piazza come tanti tumulti che spaventano.
Giorgio III, come re, fu, moralmente, migliore di Giorgio IV - il bagasciere morto con dei cassetti pieni di guanti spaiati delle sue ganze e con al collo il fermaglio tempestato di brillanti della Fitzherbert - una specie di Rosina Vercellana al castello di Windsor.
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Giorgio IV Fitzherbert Rosina Vercellana Windsor
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