Se mai c'è una parola che colorisca la prosa degli otto giorni di processo, è a favore degli accusati che, senza sapere di legge, si erano abbandonati alla sua giustizia e al loro buonsenso. Se il proto non fosse lì appiattato col fucile chartista per sbattermi via la penna, io mi darei la pena di tradurlo parola per parola, per dimostrare alle zucche che presiedono i nostri dibattimenti quanto siano cretini, sciocchi e banali coi loro sistemi parziali, colle loro interpretazioni stupide, col loro prender parte al processo invece di rimanere impersonali, colla loro fraseologia che turba la mente dei giurati ed è sentita nel loro verdetto. È tempo di finirla con questi magistrati che mandano alla galera colla bocca piena di insulti per loro che non hanno saputo astenersi dall'insinuare nell'animo dei giurati il verdetto. Qui i magistrati della Corte d'assise hanno la testa nella parrucca e uno stipendio che va dalle 125 alle 175.000 lire. Sono borghesi come i nostri. Ma almeno questi si elevano al disopra dei pregiudizi e della politica della loro classe, per ricordarsi solo che sono là pagati, perchè la giustizia sia uguale per tutti.
Mezz'ora dopo, i giurati uscirono con un verdetto che ne assolveva ventuno, ne dichiarava colpevoli della quarta accusa sedici e della quinta quindici. Per sette era stata ritirata l'accusa durante il processo.
La sentenza venne sospesa per un errore nella procedura. E la sentenza non venne mai pronunziata, perchè il governo non se ne occupò più. I ministri avevano fiutata l'opinione del paese, contraria a questi processi contro la manifestazione del pensiero.
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Corte
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