Copio le note di un collega inglese, il quale rifiuta anche il grazie. E si capisce. In tempo di rivoluzione i nostri principi neutri fraternizzano!
Tutti assieme sono una brigata di radicali, di socialisti e di nazionalisti irlandesi.
La loro parola d'ordine è free speech o libertà di parlare in pubblico.
Giunti al margine del ponte di Westminster, Big Ben (l'orologio della torre del Parlamento) riempie la tetraggine di malinconia.
I tre tocchi e mezzo muoiono via come una voce fioca che si spegne lontana.
Altri gruppi vengono da Lambeth, da Palace Road e da York Road e ingrossano l'esercito che continua a impietosirci colla cantilena: The starving poor of old England... i morenti di fame della vecchia Inghilterra... L'inno inteneriva. Riproduceva una scena storica d'un popolo andato in malora con la nenia del canto.
Si serrano le fila.
L'avanguardia che protegge la musica si inanella braccio sotto braccio, per sostenerne gli assalti.
Ci sono delle bandiere rosse, dei berretti frigi.
La maggioranza è armata di bastoni. Taluni hanno nella gamba dei calzoni una spranga di ferro.
Si va.
Si passa il ponte cantando la Marsigliese accompagnata dalla musica: Marching on to liberty or death... marciamo alla libertà o alla morte...
Giù dal ponte si applaude alla colonna del sud-est che si confonde cogli operai - perché sono tutti operai i dimostranti - occupati e disoccupati - del sud-ovest.
I Policemen, ai pilastri del ponte, sarebbero rovesciati nel Tamigi se non vi fossero i parapetti.
- Buuuuuu!
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