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      I polpastrelli del giudeo sono coperti di materiale sudorifero. Alla bocca del conduttore uditivo gli vedi coagulato il giallume bituminoso. Al collo ha le rughe della traspirazione gelate. I suoi piedi sentono di ospedale.
      Lo riconosci anche senza averlo veduto. E più biancastro e livido che terreo. I suoi capelli tendono a incresparsi. Negli occhi fondi e cerulei gli balena la voluttà del guadagno. Il suo naso è di una rapacità affilata che fa paura. Il suo alito è denso di cipolla. Le sue dita sono tentacoli.
      Indossa i rifiuti della pitoccaglia di tutte le nazioni. È acciarpato, taccognato, rattoppato, rammendato, raccomodato, rinfronzolato, rabberciato.
      Crede nell'unità di Dio, nella risurrezione dei morti, nella immortalità dell'anima e nella accomulazione delle sterline.
      È un circonciso e per conseguenza fa recidere il prepuzio ai suoi figli nella sinagoga l'ottavo giorno della loro nascita.
      Il suo primogenito, secondo la giurisprudenza ebraica, è proprietà di un Cohen qualunque creduto un discendente di Aaron. Il padre è quindi obbligato a redimerlo. La redenzione è una cerimonia.
      Il supposto Cohen, col bimbo sulle braccia, circondato dai parenti e dagli amici della famiglia del neonato, domanda al padre se preferisce perdere le sue viscere o redimerle.
      Il padre risponde ad alta voce: "Egli è il mio primogenito. Ecco, prenditi i cinque shekels (circa quindici lire) il prezzo dovuto per la sua redenzione."
      Poi si genuflettono e sboccano preci e il riscatto è compiuto.
      L'ebreo, a tredici anni, è scatenato dai ceppi paterni.


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I miei dieci anni all'estero
di Paolo Valera
pagine 147

   





Dio Cohen Aaron Cohen