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      Il padre, dopo che il chazan (ministro di religione) gli ha letto il brano di legge, gli mette le mani sulla testa e lo carica della responsabilità dei reati che può commettere.
      Noi atei ci lasciamo seppellire colla testa al nord e i piedi al sud o anche capovolti, se così piace al becchino. Il popolo d'Israello si ficca invece cadavere tra gli altri due poli.
      Petticoat Lane è in Whitechapel e il suo nome è immortale nella fantasia del popolo anche dopo che l'imbianchino ufficiale lo ha cambiato via di Middlesex. Petticoat Lane inchiude i viottoli, gli angiporti e le courts che lambiscono l'arteria principale.
      L'israelitismo vi è disseminato da cima a fondo. Sui vetri appannati di flatulenze condensate e di iscrizioni ebraiche. Sulle muraglie scrostate e sgorbiate o unte come la cotenna del lardo. Sui marciapiedi affollati di sterco, di torsoli, di bucce, di rimasugli, di mota. Dovunque nei fondacci di questo basso porto di melma umana.
      La bibita di questa fogna sociale è la salsapariglia.
      È qua e là, a barili, e la si vende a un penny al bicchiere. I cartelli dicono che è uno stomatico che rinvigorisce il sistema nervoso, purifica il sangue e sfida ogni altra pozione farmaceutica.
      Il cocomero giallo è la beccaccina o la folaga degli ashkevasin o discendenti della straccioneria giudaica germanica e polacca. Ve ne sono delle carriuolate. Cetrioli intieri, a fette, tagliati in due.
      Le botteghe di Petticoat Lane sono desideri, sono rientrature di muraglie. Sono antri, bugigattoli, covi, tane, pollai, ripostigli, boccacce, casotti.


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I miei dieci anni all'estero
di Paolo Valera
pagine 147

   





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