È domenica. Mi alzo svogliato e lavoro di schiena, per togliermi dalle ossa il riposo festivo. Impossibile. È in me come un morbo o un'influenza epidermica. Sono affetto anch'io di ipocondria domenicale. Giovanna, prima di essere donna di servizio, è cristiana. Non viene alla domenica, la cagna! Mi pulisco le scarpe, do un calcio al letto, attingo l'acqua, mi ci sguazzo ed esco in cerca di un thè che mi faccia ballare i nervi.
Sono le otto antimeridiane. Le vie sono spopolate. Le botteghe sono chiuse. Il silenzio è la nota cittadina. Qua e là qualche lattivendolo che distribuisce il latte munto sabato. Mi affretto. Svolto un angolo dopo l'altro, percorro un biscione di strada lungo un'ora, giro gli occhi e incomincio a perdere la calma.
- Policeman, dove posso prendere una tazza di thè col pane tosto?
Mi volta le spalle.
- Imbecille, è domenica. Alla domenica non ci siamo che noi senza riposo.
Filo senza un ringraziamento. La metropoli, anche alle 10, conserva l'aspetto della città colpita da una grande sventura. Qualche sottana affrettata, qualche cab a precipizio, qualche superstite della ubriachezza notturna, qualche ubriaco della giornata, qualche libertino cadaverico che porta a casa le reni spossate e qualche frotta di ragazzi.
Compero un giornale della cosidetta domenica. Ma potrei processarlo per falsa dichiarazione. Esso è stato stampato ieri sera o sabato dopo pranzo.
Non importa. Leggiamo. È il Reynold, il giornale di una linguaccia repubblicana. L'ha su colla regina, coi lords, coi moderati e con coloro che hanno del ben di dio.
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Reynold
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