Questo negozio o traffico, aggiunto alla estensione incommensurabile che può percorrere un autore conosciuto, cioè fin dove è parlata la lingua inglese, ha fatto sì che nel regno della regina Vittoria il mestiere del facitore di libri is no longer, come scrisse William Harney, a condition of pauperism. Le due mila sterline annue che Routledge pagava a sir Bulwer Lytton per pubblicare 18 edizioni, a un penny, delle sue novelle, le altre due mila che l'editore del Tennyson illustrato metteva in saccoccia al poeta, le 3,000 ghinee che i Longmans versavano per il Lalla Rookh di Moore o le altre tre mila che Pope riscuoteva pel suo Omero, non sono più una meraviglia. Allo stesso modo che non sono più possibili gli editori, come Curce; per esempio, il quale pagava, senza arrossire, dieci sterline il Paradiso Perduto e trattava gli accumulatori di pagine per la sua casa come day labourers o giornalieri.
E Walter Scott, quello che dopo l'Ivanhoe non fece più che del melodramma e quattrini e che prima dell'Ivanhoe non sapeva che idealizzare la Scozia nello stile artificioso di miss Edgeworth, la celebre scrittrice irlandese, e che potè vedere la Grande Bretagna piangere dirottamente quando giunse alla riva la notizia che la tempesta aveva inghiottito, col bastimento, i pacchi della prima edizione dell'Antiquary (un volume venduto a ruba a 53 lire!) e leggere sui giornali che la perdita era considerata una "calamità nazionale", è egli ancora una meraviglia? O chi degli "autori del nostro tempo" non getterebbe la penna nel Tamigi se sapesse di riassumere quindici anni di lavoro per venti mila sterline - la somma che i Longmans misero sullo scrittoio del padre della Signora del Lago?
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