Ad evitare equivoci perniciosi uno solo era il dovere dei socialisti dopo l'attentato del 14 marzo: tacere. Considerare cioè il fatto come un infortunio del mestiere del re. (Bravo! Applausi.) Perché", continuava Mussolini, "commuoversi e piangere per il re, solo per il re? Perché questa sensibilità isterica, eccessiva, quando si tratta di teste coronate? Chi è il re? È il cittadino inutile per definizione. Ci sono dei popoli che hanno mandato a spasso i loro re, quando non hanno voluto premunirsi meglio inviandoli alla ghigliottina e questi popoli sono all'avanguardia del progresso civile. Pei socialisti un attentato è un fatto di cronaca o di storia, secondo i casi. I socialisti non possono associarsi al lutto o alla deprecazione o alla festività monarchica. Quando Giolitti dà l'annuncio dello scampato pericolo reale, tutti gli onorevoli scoppiarono in un applauso giubilante. Si propone un corteo dimostrativo al Quirinale e alcuni deputati socialisti s'imbrancano senz'altro nel gregge clerico-nazionalista-monarchico. (Bene.) E si va al Quirinale. Non so se sia vero quel dialogo che le cronache hanno riferito. Non c'ero, ma non è stato neppure smentito. Si dice che quella frase, oltremodo banale, non sia stata pronunciata. Non importa. So che vi è un telegramma "Pregovi di presentare a Sua Maestà il mio commosso e riverente saluto". E questo è il Bissolati, il quale, dodici anni fa, gridava: "A morte il re"". (Applausi a sinistra. Rumori sugli altri banchi.)
BISSOLATI: "No, no!
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