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      Cioè di liberare gli italiani di Trento, di Trieste, di Gorizia, dell'Istria, e della Dalmazia.
      Doveva venire l'attacco pubblico. Mussolini aveva cessata la polemica coi guanti. La prima testa abbaruffata dalle sue mani fu quella di Giovanni Bacci, considerato da lui uno zuccone. Gli è andato sopra coi piedi. Egli era venuto a cinquantatré anni senza avere letta una pagina di Carlo Marx. Con la penna in mano era un orrore. Lo ha pennelleggiato come un asino e un affarista. Scriveva e attraversava le sgrammaticature e la sintassi in disordine. Aveva sciupato molti anni a Mantova come un commerciante del ghetto. A poco a poco si era conquistato gratis la Provincia di Mantova che poi aveva venduto ai socialisti per sessantamila lire in contanti. Era andato in Romagna e coi denari aveva fatto molti altri denari. Era un rivoluzionario da operetta. Il suo nome era sempre stato sinonimo di denaro. Breve: ce lo ha presentato come il Gobseck del partito.
      Tutte queste stroncature personali avevano urtato una massa abituata a ubbidire ai dirigenti e a credersi un proletariato superiore. Mussolini non veniva studiato, veniva riassunto. O era un traditore o un voltafaccia o un Rabagas. Chi paga? gli domandava il sottovoce. È venuta l'assemblea dell'esecuzione capitale. Era un'assemblea tumultuosa, riottosa, urlante per la testa di Benito Mussolini. Si è durato fatica a trovare un presidente. Si è tentato di sedarla, di dar modo all'accusato di difendersi, di spiegare il suo atteggiamento. Non è stato possibile.


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Mussolini
di Paolo Valera
pagine 213

   





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