Mussolini è uscito dalla assemblea con la faccia pallidissima, tremante di collera, mettendosi l'indice in bocca. Pareva dicesse: ci vedremo!
Egli è corso in stamperia, in via Paolo da Cannobio, e con la testa incendiata si è messo senza indugio a scrivere il suo commento. "Espulso? Se io volessi fare una questione di procedura, avrei diritto di mettere in dubbio la legittimità del voto, chiedere anzi se un voto, vero e proprio, ci sia stato, dato il modo col quale la discussione è proceduta dal principio alla fine, diretta in un modo sfacciatamente parziale, dall'assessore Schiavi. Ma io accetto il fatto compiuto. Mi ritengo espulso. La storia del socialismo italiano non ha nelle sue pagine, più o meno gloriose, una esecuzione più sommaria, più inquisitoriale, più bestiale di quella che mi ha colpito. De Marinis, Bissolati e gli altri subirono la pena capitale nel grande dibattito di congresso e fu concesso loro amplissimo il diritto di difesa e l'accusa fu portata alla tribuna, documentata, esauriente.
Per me, no. Si è fatto il processo per direttissima. Un buttafuori qualunque ha presentato l'ordine del giorno più radicale - senza nemmeno sostenerlo; mi si è concesso - dopo molti stenti - il diritto di esporre il mio pensiero; poi Lazzari invece di recare un atto di accusa, ha ripetuto la solita insinuazione vigliacca. Non si è affrontata la questione politica, non si è prospettata la questione morale. Nulla. Se la Giustizia socialista è questa, in verità, c'è da preferire quella del magistrato Allara.
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