Augusto Blanqui non ha quasi mai veduta la Francia. A 22 anni era rivoluzionario. A 72 ne aveva scontati trenta in prigione e venti in esilio.
Era nato a Nizza nel 1805. Nel '27 aveva già ricevuto una palla al collo sulla barricata di Saint-Denis di Parigi. Nella rivoluzione del '30 l'eminente sobillatore ha partecipato alla sollevazione per far cadere Carlo X, senza per questo divenire un filippista. Eloquente. Al processo egli ha evocato i morti di luglio, ha descritto la miseria proletaria, ha fatto passare sotto gli occhi dei giurati la curée (cuccagna) borghese e ha dato un la eroico ai caduti per spegnere la rapacità degli arrivisti d'allora. Predisse le rivolte e con la mano puntata fece vedere gli uragani provocati dal paese legale. I giurati affascinati dalla sua prosa tutta fiamme e tutto pensiero lo assolsero e i giudici lo condannarono per delitto d'udienza a un anno di carcere.
Con la prima condanna era incominciata la sua carriera. Nell'anno di prigionia il suo socialismo era divenuto adulto. In una sua pagina dice: "La ricchezza non ha che due sorgenti: l'intelligenza e il lavoro, l'anima e la vita dell'umanità. Se sospendete una di queste due forze, l'umanità muore". Il duello tra i lavoratori e i parassiti gli fece annunciare la decadenza della proprietà. Egli fu un ristauratore della uguaglianza sociale. Tra una sentenza e l'altra lo si rivide in circolazione nel 1839, quand'egli con Barbier - l'autore dei Giambi - ed altri si impadronirono dell'Hôtel de Ville, la fortezza municipale parigina.
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