Giovanni Giolitti non ha avuto il coraggio di andare in piena Camera a difendere la sua politica di sanguinose sopraffazioni. È rimasto nell'ombra. Ha mandato innanzi il suo aiutante di campo, l'on. Falcioni. Gli stessi giornali conservatori non trovano parole per giustificare la latitanza del Presidente del Consiglio. L'uomo che nel 1900 iniziò il nuovo periodo della sua carica parlamentare magnificando la resurrezione delle plebi agricole, oggi le lascia massacrare senza sentire il bisogno di pronunciare una parola elevata - al disopra dei partiti, al disopra delle versioni - che esprima il rammarico per tante vite così tragicamente spezzate. Giolitti è rimasto colla psicologia e colla mentalità immutate del vecchio questore. Per lui non ci sono le cause profonde, lontane, irresistibili dell'eccidio. No. C'è la folla dei rivoltosi, dei sovversivi, anche quando si tratta di fanciulli e di donne che vanno incontro ai fucili, sventolando una bandiera tricolore e c'è la polizia che spara, per mantenere l'ordine. Nel cervello di Giolitti, l'"ordine" perfetto è quello che nel 1863 regnò in Varsavia dopo la terribile repressione dell'infame Morawieff. In Italia i cittadini monturati sono dei privilegiati. Per loro non esiste il codice. Uccidono e nessuno li trascina alle Assisi. Circolano in mezzo a noi, colla divisa insanguinata. Diventano istituzioni intangibili. Giungono ai supremi onori della gerarchia. Sono encomiati, medagliettati, commendatizzati, cordonizzati. Sul loro petto c'è tutta una bacheca di chincaglierie.
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