Sarebbe una verità terribile. Noi la respingiamo.
Segue l'on. Treves, il littérateur del riformismo sinistro. Dopo Bissolati, anch'egli dà al discorso pronunciato dal Mussolini alla Camera del Lavoro di Milano una interpretazione bislacca. Quando si vuol combattere con facilità la tesi opposta, si comincia col rovesciarla e col renderla irriconoscibile. Vecchio spediente. Per il Treves
ci sono dei riformisti che tornano a sognare improvvise miracolose conquiste del potere politico, mediante l'imprigionamento dei quattro rappresentanti dell'autorità in ciascuno degli ottomila comuni d'Italia: nel quale imprigionamento consisterebbe tutta la rivoluzione". L'on. Treves dice sul serio o scherza o fa della caricatura? Perché "quattro" rappresentanti e non cinque? Quattro possono bastare a Gorgonzola, non basterebbero a Napoli. Quella di Treves è una boutade. Nessun rivoluzionario ha della rivoluzione un concetto così puerile da ridurla a un semplice episodio che in determinati casi può tuttavia imporsi come una necessità.
I contadini a Vincennes
legarono" infatti il più alto rappresentante dell'autorità regia: Luigi XVI (sarebbe stupido sintetizzare in quell'episodio tutta la rivoluzione francese, ma sarebbe ancor più stupido non riconoscerne la grande significativa decisiva importanza). Spieghiamoci. Cominciamo col dichiarare che noi crediamo fermamente nella rivoluzione, come "fatto". Quelli che l'hanno relegata fra le impossibilità sociali, non sono dei socialisti. Giovanni Jaurès aveva negato la possibilità di guerre continentali.
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