È quindi molto naturale e legittimo che i cittadini comincino a discutere anche la persona del re, dal momento che a lui tocca di dichiarare la guerra. Ma Vittorio Emanuele III fa il re costituzionale e tace.
Questo monito solenne parte da Milano e ciò accresce la sua significazione. Milano non è mai stata monarchica o lealista. L'anima profonda di Milano è repubblicana. Per sentire che la Monarchia dei Savoia, è
straniera" in Italia, non bisogna vivere a Torino - dinastica, giolittiana, cooperativistica, e quindi, per tutte e tre le cose insieme, sconciamente neutrale - e nemmeno a Roma, dove esiste un "lealismo" degli impiegati che trova le sue ragioni supreme nel fatidico ventisette del mese: bisogna vivere e conoscere Milano. La Monarchia ha "diffidato" sempre di Milano, di questo grande Comune che non ha mai rinunciato definitivamente alle sue velleità antidinastiche. È Milano che nel 1896 spezza il sogno imperialistico di Umberto I. La Monarchia si vendica due anni dopo, colla strage preordinata di Bava Beccaris. Ma non passano due anni e il re che aveva conferito al generale e di motu proprio il gran cordone dell'Annunziata cade alle porte di Milano. Questa successione di eventi, farebbe credere che una intelligenza superiore e misteriosa presiede alle vicende umane. Arturo Labriola, in alcune pagine molto interessanti della sua Storia di dieci anni, ha esaminato e lumeggiato questo aspro dissidio fra la Monarchia e Milano, dissidio che trova la sua espressione sanguinosa nel maggio del 1898. Dal '900 ad oggi, il dissidio non si è forse acutizzato ma permane.
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