La guerra era stata fatta quasi senza di lui. L'aveva attraversata come un automa. Gli austriaci avevano potuto penetrare nella sua residenza e impadronirsi di alcune cianfrusaglie di reggia. Così è nella storia del generale Viganò. Forse la colpa non era tutta del regnante. L'avevano tirato su come un maestro di scuola. I suoi precettori eran stati rigidi sulla disciplina e sulla grammatica. Gli era mancato il suo Bismarck che lo preparasse per il trono. Tanto è vero che all'esordio della carriera di regnante ha mandato in pubblico un manifesto all'esercito e alla marina senza la firma del ministro. In tanti anni non è riuscito che un numismatico. Egli era un rivale di Romussi del Secolo. Si contendevano le monete antiche. Non ha mai fatto nulla per uscire dagli ambienti degli avi. Li ha seguiti con la borsa nei diluvi, nelle epidemie, negli straripamenti, nelle catastrofi. Cose adatte agli ultimi uomini. Mussolini crede che il re non sia che un nome come un altro. Lamartine invece supponeva in lui due persone, l'uomo e il regnante. Quest'ultimo per il poeta era rimasto sacro. A ogni modo Vittorio come sovrano non è una gran cosa. Non ha lasciato solchi nel suo regno. Ha sposato una montenegrina, dopo le baldorie con le napoletane avariate, ha dato la figlia a un conte capitano, di nessuna importanza militare. Come Mussolini si sia sbarazzato delle vecchie concezioni è materia di studio. Per me è ancora un interrogativo. Ha buttati in mare i colleghi che la pensavano come lui.
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