Tutta la sua letteratura portava le stigmate del pornografo. Lo si faceva circolare per i fogli illustrati e le riviste come un corrotto, uno che abusava delle femmine. G. Chiarini che lo aveva lanciato come un superuomo col Canto Novo andò poi sulla piattaforma a chiamare i questori perché lo agguantassero come un personaggio osceno. La sua "forte e barbara giovinezza" in braccio delle femmine gli aveva permesso di mettere sul mercato i lunghi languori. I lubrici fantasmi della perversione erotica lo facevano cadere negli immondezzai pubblici, ma gli facevano guadagnare mucchi d'oro. Nessuno guadagnava come lui. Egli poteva andare dal Treves con un rotolo di manoscritti e uscirne con trenta e più mila lire in saccoccia. Egli ha fatto romanzi, studi, drammi o tragedie passando sempre dalle somme ingenti alla bolletta. Abbattuto, portato in pubblico come un essere vergognoso, le sue pubblicazioni non cessavano di avere una clientela avida della sua letteratura afrodisiaca. La sua bolletta era dovuta ai suoi modi di spendere. Scialacquava, superava i nabab della poesia e della prosa e coltivava la vita intellettuale. Inutile! Il denaro non gli bastava mai. Viaggiava come un miliardario. Non riusciva che ai debiti. Il senatore Albertini che gli voleva bene e gli pubblicava sul Corriere articoli a peso d'oro, credeva al suo disordine amministrativo e prendeva in mano per qualche tempo il guazzabuglio dei suoi guadagni. Inutile! D'Annunzio non guadagnava mai abbastanza. Lavorava a periodi come nessuno.
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