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      Ma il risultato non era mai diverso. Spendeva e aveva bisogno di spendere. Pareva il Walter del giornalismo.
      È stato in esilio per degli anni senza sbronciare i creditori. Ha moltiplicato le sue produzioni, ha avuto tutti i suoi romanzi tradotti a pronti contanti, ha garibaldinizzato il suo tempo, ha cantato i Mille, si è ingraziato un pubblico che lo odiava ed è ritornato in Italia quando la gente lo credeva dimenticato. Che cosa ci entrava lui nella guerra? I suoi versi non erano eroici. Non buttavano i soldati sui nemici. È venuto in Italia come un eroe. La Canzone di Garibaldi è andata direi quasi a ruba. Il prezzo fu popolarizzato. Non si è più parlato dei suoi episodi, delle sue Capponcine, delle sue Duse, delle sue Di Rudinì che lo avevano accompagnato con i cavalli delle loro scuderie a metter in scena le sue Città Morte, le sue Figlie di Jorio, le sue tragedie moderne come Più che l'amore ecc. Il primo passo del suo ritorno fu per la Grande Italia. Diffuse orazioni e messaggi. È andato in giro a sollevare il popolo aristocratico con parole che diceva per la prima volta ai genovesi, intitolate la Sagra dei Mille. C'era al suo dorso Salandra. Fu il suo protettore. Lo spronava. D'Annunzio non appena a Roma si avventò al collo di Giovanni Giolitti. Aveva tutta la stampa con lui. L'ex Presidente del Consiglio non fu più che della lordura. Lo si è fatto rincorrere come della zavorra politica con degli escrementi letterari. D'Annunzio era salito. Ha suonato le campane in Campidoglio.


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Mussolini
di Paolo Valera
pagine 213

   





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