È andato a Villa Ada, "al domicillo della maestà del re d'Italia". I ricordi dei "Mille" gli hanno fatto dire che la luce era fatta. Pareva il Cavour, il Vittorio Emanuele II. "Qui si fa l'Italia o si muore." "Qui si rinasce e si fa un'Italia più grande." Ha fatto scappare Bülow, l'ambasciatore tedesco, con insulti plateali, come ha fatto scappare Giolitti, trivializzandolo come un becero. Ha dato del vile a tutti. "Meglio che prendere la parola io vorrei riprendere il fucile, o compagni", aveva detto Garibaldi. Chi non s'arma è un vile o un traditore, diceva D'Annunzio. Ha dato il nome ai veicoli dell'aria chiamandoli velivoli. È stato elevato a comandante. Ha perduto un occhio in una precipitazione. Non è stato tranquillo. Ha pubblicato quarantamila copie di Notturno a venti lire la copia. Libro personale. Libro di esuberanza personale. Non ha parlato che di sé. Ha riprodotto tutti i movimenti e i ricordi passati e presenti della sua persona. Non ha dimenticato neppure le proprie stramberie. Come questa: "Ho sull'occhio il fanciullo etrusco di bronzo". Poche righe tragiche. Veramente tragiche. Si raccontava che gli alpini con le gambe congelate subirono duecentocinquanta mozzature di piedi e sul Carso i fanti stavano con le gambe nell'acqua motosa fino alle ginocchia. Le loro scarpe erano di qualità pessima, scarpe di cartone, fornite dai frodatori che godevano di tutte le indulgenze invece di essere fucilati in massa o forzati a rimanere tre giorni nella morta gora delle trincee con quelle loro stesse scarpe ai piedi.
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