La stessa sorte è toccata al deputato Misuri e a Cesare Forni. Stesserati dal partito, furono con la testa fracassata dal randello. Non erano stinchi di santo. I loro nomi sono apparsi più di una volta come terrorizzatori: manganellavano e facevano manganellare. A ogni modo noi li lasciamo passare da vittimizzatori a vittime.
I seicentomila fascisti intorno al duce hanno lavorato le teste degli avversari come non sarebbe stato possibile in un altro paese civile. Le Cooperative sono state distrutte e poi sostituite. Le Camere del Lavoro - le più belle, le più formidabili - sono state incendiate, demolite, frantumate. Quella di Torino è divenuta un mucchio di ruine. Tutto è stato capovolto. La bacheca intellettuale dei libri e dei giornali degli avversari in tutte le provincie è stata soppressa, arsa, schiantata. È così che si è vinto il nemico. Non lo si è lasciato rivivere. Tutte le concessioni ai fascisti; nessuna agli oppositori, ai socialisti e ai comunisti. Dove c'erano rimasugli di avversari si incominciarono le proscrizioni, si liberarono gli ambienti dai vecchi abitanti che non avevano conosciuta l'ora della rivolta.
La soppressione di Giacomo Matteotti ha rivelata la esistenza di una "Mano Nera", di una Ceka politica nelle aggressioni, nelle persecuzioni, nelle punizioni. Si è veduto Filippelli, direttore dell'ex Corriere Italiano. Egli ha potuto mandare il proprio chauffeur al garage Tomassini a prendere sotto la sua responsabilità una Lancia che doveva servire per il trafugamento e la strage del povero Matteotti.
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