Il delitto Matteotti è una specie di fioritura. A ogni sventramento rimane in luce qualche cosa che si ignorava. Oggi è la volta della rivelazione sul sacerdote Giovanni Gatti, parroco di Caspoggio (Sondrio), ex cappellano di guerra, noto per le sue benemerenze patriottiche, stato offeso, bastonato, carcerato e sfrattato. Con le rivoltelle puntate gli fecero trangugiare una boccetta di olio di ricino. Un altro prete, don Locantore di Palmira (Potenza) che fu anche lui valoroso soldato e fondatore di un orfanotrofio di guerra, si è veduta invasa la canonica dai fascisti. Ha dovuto salvarsi con la fuga dalla finestra. Il governo pare stia facendolo rientrare nel suo appartamento.
XXVI
L'ORAZIONE DI FILIPPO TURATI
Si soffriva. Era un ambiente di trambasciati. Si aveva bisogno di un sollievo, di udire la parola di un uomo che schiudesse nuove speranze. Giacomo Matteotti era scomparso troppo giovine perché venisse diffuso come figura parlamentare. Il suo discorso alla Camera era stato documentale. Aveva irritato gli avversari. Aveva sollevato il fascismo che si dibatteva come un mucchio di lucertole. Filippo Turati non poteva essere in vena di aggredire. Era troppo intenerito dall'argomento. "Vorrei", disse, "che a questa riunione non si desse il nome logoro o consunto - specialmente qui dentro - di commemorazione. Noi non commemoriamo. Noi siamo qui convenuti ad un rito, ad un rito religioso, che è il rito stesso della Patria. Il fratello, quegli che io non ho bisogno di nominare, perché il suo nome è nei vostri cuori, perché il suo nome è evocato in questo momento da tutti gli uomini di cuore, non è neppure un assassinato.
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