Nello stesso tempo egli preparava una gran tournée di conferenze argentine. Il falso scienziato dava un altro esempio di intelligente trasformismo, e valicava l'oceano per presentarsi nei teatri del Sud-America, scritturato a un tanto per sera, come un numero di music-hall.
Se ne ritornò, - lo sdegnoso tribuno, -- col portafoglio rigonfio di banconote transatlantiche. Allora, assicurata la pancia, egli iniziò una nuova trasformazione per aprirsi la via verso il banco del Governo.
E alla sua rentrée parlamentare, egli si presentò con un nuovo abito, apertamente nazionalista.
Ma il camaleonte politico altri miserevoli aspetti doveva rivelare. Poiché il re aveva chiamato a palazzo Bissolati, Ferri era sulle spine.
Se il re mi facesse l'onore di consultarmi... " Furono sue parole. Ma l'invito non venne.
E non venne nemmeno il portafoglio ministeriale. Il saltimbanco non si dava pace, e in un discorso giunse ad affermare coram populo:
Io voglio diventare ministro!" Incredibile, meraviglioso, storico.
Ma gli anni passavano e il caleidoscopico Ferri vedeva succedersi l'un dopo l'altro i ministeri... La chiamata non veniva!
Il pagliaccio allora abbandonò ogni ritegno e si fece ascaro di Giolitti.
Mentre l'Italia nuova combatteva la santa battaglia per l'intervento, l'istrione vide nella congiura di Bülow e Giolitti il mezzo per afferrare alfine uno scanno nel Governo.
E salì nelle anticamere della reggia, si abboccò col generale Brusati, fece la spola fra i diversi congiurati.
La rivoluzione antigiolittiana spazzò via anche lui.
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