Comincia, anzi è già cominciato il regno di Rabagas! Raccolgo nei giornali, i documenti.
Io non ho mai creduto nel sindacalismo frondeur, estemporaneo, aristocratico, di Paolo Orano. Ho sempre detto che Paolo Orano era l'Enrico Ferri del sindacalismo italiano. Non l'ho mai preso sul serio. Sono lieto di constatare che le mie legittime prevenzioni non mi ingannarono. Paolo Orano era uno dei tanti commedianti che passano sul palcoscenico della nostra vita politica. È un Cagliostro in abito professorale. Quando l'ho visto aderire al sindacalismo rivoluzionario ho pensato: questo è l'ultimo tour de force del saltimbanco. È giunto al limite. Ora retrocederà. Tornerà nazionalista. Poi militarista. Quindi guerrafondaio smaccato. Facile profezia.
L'Orano herveista si è riabilitato. Sta recitando il suo atto di contrizione e lo affida alle pagine del Corriere della Sera che fu nel '98 lo strumento più valido delle delazioni al servizio del generale assassino. Il direttore d'allora era l'avv. Oliva del Giornale d'Italia, d'oggi. Paolo Orano trova
bella, buona, risolutiva, quasi sacra la guerra italo-turca". Paolo Orano sente il bisogno di accodarsi al tartarinesco nazionalismo italiano per "lodare questa Italia guerresca, questo esercito che nella vertigine del più che la vita e più che la morte fa raggiare la fronte augusta di Roma, per ammirare questo esercito più bello e grande che non gli eserciti improvvisati per riforme rivoluzionarie".
Paolo Orano ringoia con una grimace disinvolta da esperimentato farceur tutto ciò che ha detto e scritto contro il militarismo nei quindici anni della sua attività sovversiva e scioglie l'inno alla gloria della sciabola micidiale.
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