Gli ultimi suoi anni furono penosi. Difendeva nelle preture per il tocco di pane, come un avvocato alle prime armi. Quando l'on. Francesco Giunta nel suo discorso a Napoli ha svillaneggiato Felice Cavallotti chiamandolo "pagliaccio politico" trasalimmo. Ci siamo chiesti se poteva essere vero. I giornali ci hanno confermata la mascalzonata. Non udimmo una protesta intorno a noi. La democrazia non ha reagito. È stata vile. Ha finto di credere la villania insussistente. Non l'aveva trovata nel sunto della Stefani. Ha finto di non capire che il sopprimitore della becerata giuntiana aveva dovuto essere Benito Mussolini. Felice Cavallotti con la sua vita eroica di poeta guerriero, di garibaldino, di scrittore, di giornalista e di deputato flagellatore implacabile di tutte le camorre parlamentari non lo si poteva lasciar sfigurare dalla frase sconveniente di un botolo ringhioso. Benito Mussolini ricordava la immensa costernazione che aveva colpito tutta quanta la nazione alla notizia della di lui morte nel triste dramma di Villa Cellere. La commozione ed il dolore erano stati universali. Tutta Italia piangeva. Tutto il mondo civile deplorava la grande sventura. La guigne del povero Cavallotti era stata terribile. Atroce. Oggi lo possiamo dire. Ferruccio Macola avrebbe voluto evitare di andare sul terreno. Ma non ci fu verso. Qualche ora dopo il grande tribuno era in terra con la gola recisa. La punta della sciabola di Macola gli era penetrata nella cavità della bocca, nello spazio lasciato vuoto da tre denti mancanti, e aveva ferito il fondo della gola.
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