non per questo", gridava, "si salpò da Quarto; non per questo un popolo di prodi e di martiri ingrassò le zolle d'Italia e gremì le segrete; non per questo, cento volte, con spensierata baldanza, offrimmo ai Mani irati della patria e i giovenili sogni e la vita; non perché al banchetto si assidessero, nell'apoteosi, i ciarlatani, i sopraffattori ed i ladri!" E voi, invocava, o dee, a cui egli credeva - Verità, Libertà, Giustizia - e di voi si doleva che sembraste invecchiate e tarde a muovergli incontro.
Respinto, non fiaccato, ripigliava l'assalto sisifeo; della spada di Milazzo e del Volturno, mutati i tempi, s'era fatto il bisturi da opporre alle invadenti cancrene; e dove egli era - o fosse il campo, o il Parlamento, o la piazza - ivi era spalto e trincea, ivi il fragore e l'impeto di una santa battaglia, come se - più forte dei fati - in lui fosse passata l'anima del suo Generale.
Questa, amici, la rivoluzionaria opera sua - non importa se il suo labbro ne proferisse il nome. Qui, cittadini, il segreto della sua giovinezza perennemente vivida e ingenua, il segreto della sua vita - e quello, cittadini, della sua morte.
È morto, ed è l'ultimo!
L'ultimo! Intendete, cittadini, lo strazio di questa parola? Perché essa ci annunzia che qui non a un uomo diciamo addio; ma a una generazione d'uomini; a quanto fu in essa di bello, di alto, di fiero; che non un sepolcro è questo che spalanchiamo, ma un cimitero vastissimo, nel quale un'era della storia riposa.
Per questo il funerale è così immensamente grande, così immensamente triste.
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