XXXVI
LA " IMMONDA CURÉE "
Benito Mussolini salito al potere aveva lasciato credere che con lui i battenti del Gran Magistero degli ordini cavallereschi sarebbero rimasti sprangati. Paolo Boselli era affaticato. La sua veneranda età andava rispettata. Con Facta non aveva avuto requie. Le onorificenze erano state di tutti. Lavapiatti, salumai, cavadenti, ciabattini, impresari e trafficanti di ogni risma. Errore! I "ricostruttori" esigevano la loro parte. Piovvero croci e commende. Gli ex del rivoluzionarismo scarlatto le ambivano più che tutti. Mussolini ha dovuto piegarsi alle postulazioni. Re Vittorio non ha potuto rifiutarsi. Paolo Boselli ha ripreso il suo mestiere di gran ciambellano. I vecchi monarchici ne rimasero come storditi. Poi ghignavano. Le commende dei Savoia ai Rocca, ai Michele Bianchi, ai Cesarino Rossi, ai Marinelli, ai Rossini, ai Racheli? Era la curée degli invertiti.
Benito Mussolini in mezzo alla ridda dei concorrenti alla bacheca della vanità pare un uomo seccato. Lascia capire che è stufo o nauseato di chincaglierie. Il suo caso personale lo deve avere smagato. Troppi ciondoli intorno a lui. È di ieri il suo discorso al Consiglio Nazionale Fascista. "Abbiamo un po' peccato di vanità; ci siamo un po' troppo gingillati; troppi commendatori, troppi cavalieri." È certo che i suoi atteggiamenti contraddittori lo fanno ogni giorno una figura sempre più discussa, dagli stessi uomini del suo partito. Da qualche tempo egli non è più avvicinabile. Pare accigliato. Pare scruti.
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