Poteva essere aspettato ad ogni svolta. Nei miei giri giornalistici, mi è capitato di trovarmi a tavola o in conversazione dove era qualche romagnolo. Bastava una allusione.
- Eh, ragazzi, badate, sono romagnolo per cristo!
Non c'era bisogno di spiegazioni. Il romagnolo non aveva orecchi per l'insulto e per la denigrazione del suo paese. Il giorno in cui un imprudente aveva osato dire che la Romagna era un paese di accoltellatori, ho veduto il padrone dell'osteria che mangiava con noi gli spaghetti alla bolognese, alzarsi - bianco come la calcina - con i denti che stridevano e gli occhi stravolti. Ci sono volute tutte le mani per ammansarlo. Sbollita la collera non c'era più niente.
La sensibilità romagnola può essere eccessiva per altre ragioni. Non per la Romagna. In Romagna l'onore, è una parola piena di significato. Guai a chi lo gualcisse. Ai tempi di Cipriani sollevava tutta una tavolata, faceva nascere dei parapiglia, metteva in tutti la convulsione, diventava più di una volta una rissa sanguinosa.
Buoni, generosi. È in Romagna che Andrea Costa è stato adorato, protetto, salvato con l’amicizia e le elezioni. Considerato «malfattore» per il domicilio coatto dai delinquenti ministeriali dell'epoca, il nome del futuro presidente della Camera è stato posto nel cuore di tutti i romagnoli. C'era in loro un patriarcalismo che sviluppava tutte le grandezze, tutti i sacrifici, tutti gli eroismi. Le Romagne sono state la pepinière di Garibaldi e di Mazzini. Sono desse che hanno dato i contingenti più rossi, più devoti, più preparati a morire per la rivoluzione e per la causa italiana.
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