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      È stato un momento tempestoso. Carabinieri e soldati erano con le armi al grilletto. Si urlava, si vedevano i pugni in aria, si minacciava, se ne esigeva la scarcerazione. Tutti i movimenti erano per rompere le siepi militari e irrompere nella carcere a liberarlo.
      - Viva Cipriani! Morte ai vigliacchi!
      I vigliacchi erano i giurati, i magistrati, i ministri, i consorti. La dimostrazione veniva disordinata dai poliziotti che cercavano di precipitarsi a acciuffare i più scalmanati. Le moltitudini sfollavano e si ricomponevano per degli altri urti, degli altri tentativi di invasione, delle altre grida, dell'altra veemenza. Cipriani - me lo ha raccontato lui stesso - di dentro udiva il pandemonio esterno e aspettava di minuto in minuto il fracassamento tumultuoso dei suoi liberatori.
      Non c'è stata città senza emozione. La condanna che seppelliva un uomo vivo, dichiarato da milioni di persone innocente aveva scatenato anche i timidi - anche quelli che erano di solito governativi. La si discuteva. Il processo fatto con delle sole deposizioni scritte aveva lasciato molti dubbi in tutti gli animi. Il collaboratore principale di tutto quel guazzabuglio legale ora stato l'odio. Gli attori principali vi avevano deposto i loro livori, versati i loro rancori, ammucchiate le loro passioni. Dove era avvenuto il fattaccio? In Alessandria d'Egitto. In quei giorni la città egiziana contava più di cento mila abitanti. Gli abitanti erano egiziani, turchi, albanesi, siriani, greci, copti, armeni, italiani, francesi, russi.


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L'uomo più rosso d'Italia
di Paolo Valera
Arti grafiche Lampo Novara
1933 pagine 69

   





Cipriani Alessandria Egitto