Pagina (14/69)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Avevano tutti il tocsin nella testa. Volevano insorgere, erano insorti, soffrivano nelle catene delle monarchie morenti. I sudditi volevano divenire cittadini. I disuniti volevano unirsi. L'unità doveva compiersi. Garibaldi era l'incendio, la campana a stormo che chiamava tutti alle armi. Le sue mosse erano commozioni pubbliche. Il giorno che lo si è saputo alla Villa Spinola di Augusto Vecchi è stato un giorno di baci, di lagrime, di addii. Tutti erano in moto. Tutti si affrettavano ad accorrere dal generale che li aveva chiamati con una sola frase:
      - Venite a morire con me.
      Il grande generale non prometteva che disagi. Non era il capo di un esercito regolare che non si muoveva che con le ambulanze, le vettovaglie, i carri di munizioni, le batterie, uno stato maggiore circondato da squadroni di cavalleria. Egli era un altro. Era una camicia rossa. Il suo nome bastava per raccogliere uomini, fucili, danaro. In un fiat, egli si trovava intorno veterani, studenti, avvocati, scrittori, deputati parlamentari, giornalisti, patriotti, pittori, esuli, operai, ricchi e poveri. Le madri, come la Cairoli gli conducevano i figli. I padri, come il padre siciliano che gliene condusse quattro, gli dicevano:
      - Generale, eccoti i nostri maschi.
      Tutti concorrevano o volevano concorrere alle sue spedizioni. Nessuno dubitava di lui. Con lui si sognava. I suoi metodi erano conosciuti. Varese e San Fermo lo avevano propalato anche in Italia per un duce che non conosceva che vittorie. Si metteva in guerra con le camicie rosse digiune, stracche, con le scarpe slabbrate e scalcagnate e le lanciava sul nemico con cariche alla baionetta.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

L'uomo più rosso d'Italia
di Paolo Valera
Arti grafiche Lampo Novara
1933 pagine 69

   





Villa Spinola Augusto Vecchi Cairoli San Fermo Italia