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      Non posso che ridere.
      In prigione mi portarono in una celletta un pagliericcio gonfio di paglia, duro come un sasso. Non mi si diede da mangiare. Ero partito digiuno, rifiutando i quaranta centesimi per la razione di viaggio. Mi coricai a stomaco vuoto. I miei denari erano andati alla procura. Così dalla sera del 14 al 16, giorno in cui arrivai a Milano, sono rimasto senza mangiare.
      Era un viaggio per traduzione. Mi si svegliò alle 4. Alle 5 ero ammanettato e un po' più tardi salivo in una carrozza di terza classe.
      A Piacenza c'è stato uno scambio di carabinieri. Quello che era vicino a me ha dimenticato il giornale. Vi si parlava di me. Si accorsero di me anche i viaggiatori del vagone. Tutti m'inviavano saluti e mi facevano segni di simpatia. Tre o quattro donne piangevano. Pregarono i carabinieri di smanettarmi. Non ho mai veduto uomini più imbrogliati di loro. Ho dovuto io stesso persuaderle che i carabinieri non potevano farlo senza compromettersi. All'arrivo c'è stata gara per stringermi le mani.
      - Milano!
      Sono stato incassato nella celletta della vettura dei prigionieri. Era un buco. Vi soffocavo. Non ho mai sentito il bisogno di giungere al cellulare come allora. Dopo le solite registrazioni e perquisizioni venni chiuso nella cella 75 di un raggio chiamato intermedio. Le celle grandi dette di favore a dieci lire il mese sono occupate di solito dai ladri in guanti glacés. La mia cella mi era stata data per deferenza, secondo il direttore Fassa; ma in verità era per potermi tener d'occhio.


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L'uomo più rosso d'Italia
di Paolo Valera
Arti grafiche Lampo Novara
1933 pagine 69

   





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