- Oh, che infamia! Io omicida volontario!
Colla morte nell'anima e barcollando come persona ebbra m'accingevo a tornarmene nella tetra e solitaria cella che io poco prima credevo di avere lasciata per sempre quando una vociaccia arrogante mi chiamò:
- Cipriani, di qui.
Mi volsi sdegnato e fummi indicata la stanza del giudice istruttore.
Vi trovai il giudice Greco che aveva istruito il processo politico con una persona che lo assisteva e lo scrivanello.
Nei frequenti colloqui col primo, quando si istruiva il processo politico, mi era nata una certa simpatia per lui.
Nell'istruire il processo per reato comune trovai un altr'uomo. Era sgarbato, scortese, severo. Se la seconda istruttoria fosse stata fatta da un altro non mi sarei umiliato colla negativa.
Ma cosa volete, fu un momento di debolezza! Forse il primo della mia vita, che pagai così caro. Davanti a quell'uomo non ebbi la forza lì sui due piedi, di riconoscermi come l'uccisore, benchè involontariissimo, del Santini.
Schiacciato sotto il peso dell'infame accusa, l'orrore per essa, avvilito, offeso, umiliato, adirato, con un misto, ripeto, di rabbia e di vergogna, senza sapere quello che facessi, negai come un fanciullo e fui proprio come il cigno che crede evitare il micidiale artiglio dell'aquila spietata che gli minaccia il petto col celarsi la testa sotto le ali.
Coglierò quest'occasione per rettificare, secondo la verità, una delle solite inezie che mi valsero la galera senza lasciarmi adito a nessuna riparazione legale.
Non negai nel modo spigliato e sfacciato, come si legge nel processo.
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Greco Santini
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