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      Ne scrissi alla famiglia. La lettera venne trattenuta, ma il sistema venne cambiato. Ripresi un po' di vita.
      Il cellulare di Milano, il carcere così detto aristocratico è il più malsano di tutt'Italia e forse d'Europa. Non ha che l'apparenza. Le celle furono misurate con una parsimonia veramente feroce e feroce e crudele è tutto il resto. Se soffiano i venti del sud-est o se c'è scirocco, l'acqua gronda dai muri. Il pavimento, fatto di cemento, trasuda come una spugna. È sempre umido. Nei giorni piovosi è bagnato. Vi si sente l'aria di un sotterraneo. Tutto si inumidisce: coperte, pagliericcio, lenzuola, vestiario. Umidità fitta, fredda e costante che penetra nelle midolla delle ossa. Con sei mesi di questo carcere si è tutti reumatizzati, addolorati, idropici. Si hanno delle flussioni, delle oftalmie. Si è marci, bolsi, snervati, impotenti a qualunque lavoro manuale e intellettuale. L'intelligenza è la prima ad andarsene. La seguono i capelli e la barba. La pelle si stringe. La voce diventa fioca, i muscoli indeboliscono. Non si ha più forza nè salute. L'umidità è così intensa che una saponetta di glicerina in otto giorni è divenuta molle come se fosse stata immersa tutto quel tempo nell'acqua. Uno sputo è rimasto al suolo tale e quale per più di un mese. Per farlo scomparire c'è voluta la scopa. Se soffia un po' di tramontana si vive. Ma le piogge in Lombardia durano sei mesi. E per tutto quel tempo riappaiono le gocce. I muri del cellulare sembrano costruiti con calce stemperata col sale.


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L'uomo più rosso d'Italia
di Paolo Valera
Arti grafiche Lampo Novara
1933 pagine 69

   





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