Ero sottoposto a una lenta asfissia.
Con le braccia ed i polsi addolorati dalle manette che mi laceravano le carni, le mani nere dal sangue che vi si era fermato dalla pressura dei ceppi ed il freddo intenso che sentivo più di ogni altro per i miei dieci anni di Caledonia e per l'anno passato nell'umidore del cellulare milanese.
Il 6 giungevo ad Ancona. Solito apparato di forza. Venti gendarmi di più di quelli che mi accompagnavano. Passai in una carrozzella quasi portato. Mi trovai pigiato in mezzo alla forza. Mi si legarono i piedi e mi misero la catenella alle braccia. Si aveva. sempre paura che io venissi liberato dai socialisti. La vettura andava adagio perchè aveva molti carabinieri ai fianchi. Si saliva. Si andava a far tappa al carcere Santa Pelagia. All'entrata c'era gente. Birri in civile. Legato come ero mi si trascinò giù e mi si portò nel carcere quasi di peso. Mi aspettava un facente funzione di capo-sgherro. Mi lasciarono ammanettato un'ora. Non sono molto sensibile al dolore. Pure non ne potevo più. Avevo le mani nere, morte, gelate, le braccia gonfie, i polsi indolenziti e scorticati. Smanettato, le braccia mi andarono giù come un peso morto. Divennero infuocate. Avevano la febbre. Subii la perquisizione che si subisce alle entrate dei carceri. Mi si fece spogliare e mi si vestì da condannato. Venni chiuso nella cella 14. Il direttore Alzenighi era buono. È lui che mi ha fatto portare in cella la mia biancheria personale. Sono stato trattato umanamente. Vedevo spesso il direttore.
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