Nel pomeriggio ho avuto un colloquio con l'avvocato Pacetti, mio difensore, che aveva scelto come compagno l'avvocato Busi. Il dibattimento era per il 27 febbraio. Non avevo che cinque giorni per prepararmi la difesa. Tempo insufficiente perchè non conoscevo i particolari, i nomi e i cognomi, i luoghi di nascita dei testimoni mischiati direttamente o indirettamente all'aggressione della notte 13-14 del settembre 1867. La procura generale ha trascurato, per esempio, che nella stessa Livorno abitava il livornese Sante Menicagli, al n.° 12 delle Spianate, testimonio oculare del fatto. Dopo la mia condanna a 25 anni, sorpreso di non essere stato citato, scrisse al mio avvocato Leonida Busi, lamentandosene.
Se il Menicagli avesse avuto modo di comparire alle assisi di Ancona, avrebbe deposto quello che aveva deposto quindici anni prima al Consolato italiano in Alessandria d'Egitto, cioè, che io mi ero difeso contro persone determinate a togliermi la vita. I giurati non avrebbero avuto da discutere che il caso di legittima difesa. Era decisa la galera. E il processo si fece senza il Menicagli.
È stato detto, che avrei potuto chiedere un rinvio. Lascio giudicare il mio caso a coloro che si sono trovati nei miei guai. Un rinvio è un tormento. Si vive agitati e angustiati. Il rinvio mi aveva spaventato. Ho così ottenuto i miei 25 anni di galera. Ci sono e benedico le mie catene, perchè sono stato circondato della simpatia di Nocito, di Menotti, di Carducci, di Rapisardi, di Turati, di Piselli e di una moltitudine di uomini generosi e di generosi popolani, di giureconsulti insigni, il fiore degli italiani, onore del nostro giovine paese, imbrattato del fango di chi governa, e che da quattro anni lottava disperatamente per ridarmi la libertà. Io devo loro la mia riputazione, devo qualche cosa di più caro, di più prezioso che la libertà.
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