La stazione era gremita di soldati, di questurini, di gendarmi. Viaggiammo in seconda classe. A Roma ci fu cambiamento di treno. Usciti di Roma i carabinieri si misero a mangiare e a bere. Il vino li rese pił buoni. Mi svitacchiarono le manette di due giri. Bisogna aver provato l'immobilitą per ventiquattro ore in un'afa calda, con dieci persone addosso che fumano, ciccano, sputano, scatarrano, bevono, mangiano, ruttano e schiamazzano, mentre voi rimanete a ventre vuoto e siete avviati alla galera per venti anni per avere idea del mio strazio. Pare anche a me un sogno.
[ vedi cipri_01.png] Amilcare Cipriani a Portolongone
Scendemmo a Livorno. Come altrove la stazione era tumultuata di soldati, di benemerita e di questurini. Passai in mezzo a loro altezzoso col mio zazzerone e venni chiuso nella cella n.° 2. Fetida. Condotto all'imbarcadero, passai a bordo dell'«Elba», il postale di quell'isola. Mi fecero scendere sotto coperta e mi misero su un pezzo di ferro a prua in mezzo ai cordami e un cerchio di carabinieri. Mare indiavolato. I passeggeri ruzzolavano. Nella stiva rotolavano. Il mare infuriato percuoteva il fragile piroscafo e lo tratteneva dalla corsa impetuosa, scapigliata, vertiginosa con ondate frementi. I cavalloni giungevano intorno all'«Elba» arruffati come montagne in moto e si disfacevano su di esso, seppellendolo. Credevo di rimanere annegato coi miei incatenatori. Si giunse a Capraia. Sosta per la discesa di alcuni passeggeri. Calmata la tempesta si riprese la corsa.
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